Prende il via una settimana all’insegna delle conferme, o delle smentite, per l’economia, la finanza e la politica americana. Il risultato delle elezioni ha segnato una schiacciante e, in gran parte, inattesa vittoria del repubblicano Donald Trump che, nella prossima legislatura, potrà inoltre contare sulla maggioranza in entrambi i rami del Congresso (239 seggi contro 193 i seggi alla Camera e 51 seggi contro 47 seggi al Senato).
In uno scenario ancora caratterizzato da un certo grado di incertezza, due saranno i probabili fronti di azione del nuovo Governo nel breve termine: la politica fiscale espansiva e la politica estera protezionista. Le dichiarazioni della campagna elettorale, a livello domestico, hanno promesso un aumento della spesa pubblica (soprattutto per le infrastrutture) e un abbassamento delle tasse per famiglie e imprese con scarsa preoccupazione rispetto ai conseguenti aumenti di deficit e debito.
Rispetto invece alla politica internazionale, le minacce di revoca dei trattati e i dazi a doppia cifra appaiono misure eccessive, anche se sicuramente prevarrà un atteggiamento più protezionistico rispetto a quello attuale. Nel complesso, l’effetto congiunto di queste due forze, dovrebbe garantire un’accelerazione del PIL e un ritorno dell’inflazione. Molto dipenderà dalle nomine dei membri della nuova Amministrazione e dal confronto tra Trump e il partito Repubblicano che, proprio nelle ultime fase della campagna, aveva almeno in parte disconosciuto il proprio candidato.
Ad ogni modo, non è nemmeno escluso che – a parte la retorica comunicativa tipica della campagna elettorale repubblicana – le posizioni di Trump possa convergere verso più miti consigli, ispirando pertanto una maggiore prudenza sull’assunzione di posizioni che potrebbero, in altri termini, essere molto nocive per le relazioni internazionali e per la tenuta dei budget locali.
